martedì, settembre 26, 2006

PASCAL Blaise "Costruttore di bellezza"

Blaise PASCAL (1623 - 1662)











Matematico, fisico, filosofo e scrittore francese. Nella sua “Apologia della religione cattolica”, rimasta incompiuta per la morte prematura del suo autore, e pubblicata sotto il titolo di “Pensieri”(dai suoi amici della cosiddetta scuola di Port-Royal, nel 1670, dopo numerosi ritocchi) Pascal dice che gli argomenti della filosofia e della teologia non hanno presa sul ‘libertino’, sull’incredulo lontano da Cristo. I discorsi dei teologi possono consolidare la certezze del credente, non svegliare nel miscredente l’inquietudine e produrre quella presa di coscienza sulla quale si radica e cresce l’esigenza religiosa.
L’esperienza e la storia dell’uomo portano alla luce costantemente i contrasti e le contraddizioni in cui la vita stessa di ognuno di noi è coinvolta. Pascal mostra alla fine che il richiamo alla trascendenza e la fede nel Cristo mediatore danno senso a un dramma che risulterebbe altrimenti assurdo e senza soluzione.
Più che alla ragione Pascal si rivolge, dunque, in questa indagine, alle “ragioni del cuore”; e più che all’esprit de geometrie, all’esprit de finesse”. Egli dice che i limiti della ragione recano l’impossibilità di assorbire l’uomo “nell’ordine della geometria”. L’uomo, essere contraddittorio, cerca soprattutto la verità e non può mai raggiungerla; da essa lo tengono lontano le “potenze ingannatrici” che sono nella sua stessa natura: i sensi, la volontà, l’amore di sé, la ragione e l’immaginazione, “maestra di errore e di falsità (!?), lo confondono e lo fuorviano.
“Ciò che è vero al di qua dei Pirenei, è falso al di là” – scrive Pascal.
E poiché nessuno dei sistemi filosofici può soddisfarlo, l’uomo tenta di sfuggire alla sua condizione con il divertimento, gli svaghi, le distrazioni, o lasciandosi assorbire dalle occupazioni. Ma, malgrado tutto ciò e proprio perché è consapevole, l’uomo è grande: “L’uomo non è che una canna, la più nobile della natura, ma una canna che pensa. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero”.
Pascal è stato avvicinato ai grandi maestri dell’esistenzialismo e dell’irrazionalismo moderni, da Kierkegaard a Nietzsche, a Dostoevskij.
“I Pensieri” di Pascal è un’opera di confronto serrato in cui si scontrano le esigenze estreme della scienza e della religione (lui matematico e fisico, studioso del “vuoto”); un grande capolavoro letterario che getta sulla scena un nuovo eroe: l’uomo.
La coscienza è il sigillo e l’impronta della incontestabile superiorità dell’uomo: abisso di grandezza e di piccolezza, né angelo né bruto, enigma vivente, l’uomo può trovare la spiegazione di se stesso solo nella religione. E, fra tutte le religioni, la cattolica è quella che rende meglio conto della nostra natura, in quanto spiega la nostra grandezza con la creazione divina, la nostra debolezza col peccato originale e la possibilità del riscatto con la Croce di Cristo.
Il celebre argomento della “scommessa” che Pascal pone è:” Vale la pena di rischiare una vita disordinata e spregiudicata, nel libero soddisfacimento degli istinti, piuttosto che per un premio di fede religiosa e di razionale moralità nei comportamenti? ”. Se comunque, la fede ci sarà data, allora capiremo anche il valore di quelle altre prove del libro biblico, con la figura raggiante del Figlio di Dio con cui si doveva concludere l’opera di Pascal: è Lui, il Cristo, il punto di arrivo di questo itinerario e la soluzione di tutti i drammi dell’uomo.

Riprendo e sintetizzo, perché li condivido pienamente, i commenti che il prof. Ugo M. Palanza fa sull’opera di Pascal, in “Capolavori della letteratura straniera” – Società Edit. Dante Alighieri 1957.

Siamo quindi di fronte ad un opera piena di ricchezza di pensiero e di viva e palpitante ispirazione che potrebbe essere posta accanto alle “Confessioni” di S. Agostino senza esitazione.
Pascal trae dal suo travaglio intimo il motivo delle sue riflessioni; fa di se stesso lo specchio dell’umanità; è convinto che l’umanità è partecipe del suo dramma e comincia col rivolgersi ai “libertini” che vivono indifferenti ai problemi dell’anima: “L’immortalità dell’anima è una cosa che c’importa tanto, che ci riguarda così profondamente, che bisogna aver perduto completamente la ragione per restare indifferenti di fronte alla conoscenza del nostro destino”. A questi numerosi “apatici” egli si rivolge soprattutto, in quel suo grande desiderio di perquisire nei meandri del nostro essere alla ricerca di motivi che rompano l’abulia, costringano a mettere a fuoco e fissare sulla strada giusta il problema “cristiano” della nostra esistenza: perché fuori dal Cristianesimo non c’è salvezza.
Cos’è questo piccolo essere che si dice uomo e che conosce il senso del dolore e della felicità, del bene e del male, che contempla le altezze ed è inchiodato sulla terra? – chiede Pascal . Non può essere altro che quello stesso Adamo che uscì perfetto dalle mani del Creatore e che divenne imperfetto e debole per sua scelta, incapace di risalire e rinascere con le sue forze nella vita senza guardare e ritornare verso gli insegnamenti del suo Creatore.
Pascal non muove da una verità bella e pronta da presentare ai miscredenti; egli muove dalla vita stessa, dalle nostre attese, dalle pene e dalle gioie, dalle miserie e dalle grandezze: pone gli enigmi davanti agli occhi di tutti, perché ci sia accorga della necessità che non c’è altra soluzione, all’infuori della scelta di vita cristiana.
I “Pensieri”, con i quali Pascal fissa i caratteri della nostra natura umana sono scolpiti con potenza di realismo psicologico, con esattezza dialettica e adeguazione immediata alla tormentata essenza umana. Egli scrive:

“Un uomo si mette alla finestra per vedere i passanti; se io passo di là, posso dire che si è messo alla finestra per vedere me? No, non pensa a me in particolare, guarda intorno e vede tante cose.
Ma chi ama qualcuno a causa della sua bellezza, l’ama forse? No, poiché il vaiolo, che distrugge la bellezza senza uccidere la persona, farà che egli non l’amerà più.
E se mi si ama per il mio ingegno, per la memoria, si ama forse “me”? No, perché io posso perdere quelle qualità, senza perdermi io stesso. Dov’è dunque questo “io”, se non è nel corpo né nell’anima?...Posso ben concepire un uomo senza mani, senza piedi, testa…ma non posso concepire l’uomo senza pensiero: sarebbe una pietra o un bruto…Il pensiero fa la grandezza dell’uomo. L’uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano per ucciderlo. Ma quando l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancor più nobile di quel che l’uccide, perché sa di morire e conosce la forza che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla.
Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E’ lì che dobbiamo elevarci e non nello spazio e nel tempo, che non sapremmo riempire. Lavoriamo, dunque, a ben pensare: ecco il principio della morale”.

Ma è cosa facile lavorare a ben pensare? E quando si è detto che la dignità dell’uomo è nel pensiero si è detto tutto dell’uomo? Purtroppo, non si è detto tutto! L’uomo è un campo di battaglia: un campo di battaglia delle più singolari contraddizioni; un istinto ci innalza ma le contraddizioni e le miserie ci sopravanzano e sono infinite. Pascal dice:
“Se non ci fossero che la ragione, senza le passioni…Se non ci fossero che le passioni, senza la ragione…Ma avendo l’una e le altre, egli (l’uomo) non può essere senza guerra, non potendo avere la pace con l’una, se non essendo in guerra con le altre; così è sempre diviso e contrario a se stesso… Questa duplicità dell’uomo è così evidente, che alcuni hanno pensato che noi abbiamo due anime”. .. e continua ironizzando sulle varie possibilità: un’anima per la verità, un’altra asservita ai sensi; una per la felicità, un’altra per il male e la miseria; una per l’infinito, un’altra per il finito ed il contingente; una che ci porta verso Dio, un’altra che ci getta sul piano dei bruti. Quale filosofo, dunque, può dare una soluzione soddisfacente a questo mistero? Nessuno, in buona fede, può dire di conoscere la soluzione. Ma nel piano soprannaturale della religione, e religione cristiana, si può trovare la soluzione dell’enigma; solo il Cristianesimo può dirci cosa sia questo nostro tendere all’alto e questo nostro stare nel fango; può dirci cosa sia la tristezza della nostra miseria”.

Può dunque l’uomo da solo, con le sue forze, rinascere? La sua rinascita è legata al Cristo: da Lui la grazia, attraverso di Lui la possibilità di risalire l’abisso.
Pascal: “Non conosciamo Dio che per Gesù Cristo. Senza questo Mediatore, è tolta ogni comunicazione con Dio; per Gesù Cristo noi conosciamo Dio”.

Ma quali prove abbiamo della verità della rivelazione cristiana e della divinità di Gesù Cristo? Secondo Pascal le prove sono molte: “per provare Gesù Cristo abbiamo le profezie, che sono prove solide e palpabili. E queste profezie essendosi avverate e dimostrate vere dagli avvenimenti, confermano la certezza della verità e quindi la prova della Divinità di Gesù Cristo”.
E poi ci sono i miracoli, l’altezza della morale evangelica, la prodigiosa propagazione della Buona Novella. Tuttavia queste prove possono apparire non “assolutamente convincenti” se ad esse si guarda con l’occhio freddo della pura ragione. La ragione, con la squallida tendenza alle analisi, può determinare il crollo dell’edificio più bello. Ma ci sono altre ragioni e sono quelle del cuore, che la ragione non conosce, ma che pure esistono e che sono capaci di determinare la conquista della verità in un modo “tutto interiore ed immediato”; con siffatte ragioni, che poi sono un sentimento, occorre prepararsi allo studio delle verità rivelate. Allora ogni dubbio scompare e tutto appare chiaro ed evidente.
E’ questo il senso del misticismo di Blaise Pascal; misticismo che ripete motivi tradizionali, ma che pure ha toni, calore, passione, svolgimento assolutamente nuovi e personali. Si possono dare dimostrazioni naturali dell’esistenza di Dio e della immortalità dell’anima; si può dimostrare che le verità numeriche sono verità immateriali…ma tutte queste conoscenze sono inutili e sterili, senza Gesù Cristo. Senza Gesù si ha un Dio “semplicemente autore di verità geometriche e degli ordini degli elementi”, ma con Gesù “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei Cristiani diviene un Dio d’amore e di consolazione, un Dio che riempie l’anima e il cuore di quelli che lo possiedono, un Dio che fa loro sentire interiormente nel profondo dell’anima; che la riempie di umiltà, di gioia, di confidenza, d’amore; che li rende capaci di avere un fine ben preciso: seguire la sua gloria, la sua creazione, gli insegnamenti di GesùCristo, per cercare di giungere a Lui stesso”.

Gli studiosi di Pascal sentono, in queste parole, l’eco della voce di S. Paolo e di S. Agostino, ma vi sentono anche l’esempio di un sentimento nuovo, la vena di un’acqua che non può affondare e che riemerge di generazione in generazione.
Le pagine più belle dei “Pensieri” sono quelle in cui quest’acqua purificatrice arriva lenta e sommessa, come in un sogno profetico. Sentite nel “Mistero di Gesù” questo colloquio:
“Consolati, tu non mi cercheresti, se non mi avessi trovato. Ho pensato a te nella mia agonia, ho versato per te queste gocce di sangue. E mi tenta, più che mettere te alla prova, il pensare se farai bene questa o quell’altra cosa lontana: lo farò io, in te, se occorrerà. Lasciati condurre dalle mie regole, vedi come ho ben guidato la Vergine ed i Santi che mi hanno lasciato agire in loro. Il Padre ama tutto ciò che io faccio. Vuoi tu che io versi sempre sangue della mia umanità, senza che tu dia lacrime? E’ affar mio la tua conversione: non temere e prega con fiducia come per me. Io ti sono presente con la mia parola nella Scrittura, col mio spirito nella Chiesa e nelle aspirazioni, con la mia potenza nei sacerdoti, con la mia preghiera nei fedeli. I medici non ti guariranno, perché alla fine morirai. Ma sono io che guarisco, e rendo immortale il corpo. Soffri le catene e la schiavitù corporali, io per ora non ti libero che da quella spirituale. Io ti sono più amico di questo e di quell’altro; perché ho fatto per te più di loro ed essi non soffrirebbero quel che io ho sofferto da te e non morirebbero per te nel tempo delle tue infedeltà e crudeltà, come ho fatto io e come sono pronto a fare e faccio nei miei eletti nel Santo Sacramento. Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti perderesti d’animo”.
“Mi smarrirò, dunque, o Signore, perché io credo alla loro malizia per vostra testimonianza”.
“No, perché io, da cui tu hai avuto la possibilità di conoscere la malizia, te ne posso guarire, e il fatto che te lo dico è segno che voglio guarirti. A misura che li avrai espiati, li conoscerai, e ti sarà detto: “ecco i peccati nascosti e per l’occulta malizia di quelli che tu conosci”.
“Signore, io vi do tutto”.
“Io ti amo più ardentemente di quanto tu non abbia amato le tue brutture, ‘ut immundus pro luto’ (‘affinché l’immondo sia fango’)”.

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